La terribile vicenda del bracciante indiano ha riportato alla luce un fenomeno già ampiamente conosciuto e documentato: lo sfruttamento, al limite della schiavitù, dei lavoratori stranieri in agricoltura. Certamente colpisce l’efferatezza e la crudeltà che caratterizza questo episodio, ma dobbiamo ricordare che la situazione dei lavoratori agricoli nella zona di Latina, così come in Puglia o in Calabria è da tempo sotto gli occhi di tutti. Il fenomeno, poi, non si limita alle zone citate, ma è diffuso in tutta Italia.
Lo sdegno è rivolto al titolare dell’azienda e al suo comportamento razzista e inumano, ma questa è anche l’occasione per allargare lo sguardo, per capire dove e perché nasce lo sfruttamento: certamente in prima linea ci sono le aziende agricole senza scrupoli che lo praticano per massimizzare i profitti, ma il problema è più ampio e riguarda tutta la filiera che si basa ormai sull’assunto che per portare i prodotti alimentari a prezzi stracciati per il consumatore è necessario comprimere al massimo i costi a monte.
Chi ne fa le spese, oltre alle aziende produttrici, sono i lavoratori – in special modo stranieri – che rappresentano l’anello più fragile della catena. Molte cose sarebbero da dire sulle politiche di immigrazione che, mettendo ostacoli all’ottenimento di permessi di soggiorno, favoriscono la clandestinità o fanno in modo che queste persone vivano in condizioni di isolamento, marginalizzazione, ignorate, quando non esplicitamente respinte, e fatalmente sotto ricatto e alla mercè di proprietari e caporali senza scrupoli.
Ma un’associazione come Officina Solidale, promuovendo un consumo responsabile che tiene in primaria considerazione gli impatti sociali e ambientali della filiera produttore/consumatore, non si può sottrarre alla considerazione che questo fenomeno sistemico è anche responsabilità dei consumatori che sono abituati e pretendono di trovare prodotti alimentari a prezzi insostenibili, senza chiedersi quali siano le conseguenze. E’ necessaria una presa di coscienza, perché continuare a ignorare il problema rende tutti complici e perché è necessario scardinare alla base un sistema che si basa sullo sfruttamento di persone e dell’ambiente.
La soluzione non risiede soltanto in controlli più capillari o in regole più stringenti (basterebbe far rispettare quelle che ci sono), ma deve indirizzare tutta la filiera lavoro-produzione-intermediazione-distribuzione-consumo in modo da garantire la sostenibilità in tutti i suoi aspetti. In tutto questo i consumatori dovrebbero farsi promotori di una forte pressione per pretendere la trasparenza e la garanzia che i prodotti siano “buoni” sotto tutti gli aspetti. E’ chiaro che questo approccio passa inevitabilmente da un cambiamento culturale che tenga conto che il diritto a un cibo sano e giusto non si può sposare con un prezzo basso a tutti i costi.